Scomparsa a soli 51 anni, Lucia Valentini, nata a Padova il 28 agosto 1946, aveva studiato canto in Conservatorio perfezionandosi come mezzosoprano di coloratura. Voce di rara bellezza, tecnica sopraffina, studio assiduo e meticoloso è stata un’esponente di spicco del repertorio rossiniano in particolare, di cui conosceva ogni segreto e con il quale colse grandiosi successi in tutto il mondo.
Giustamente, quotidiani e riviste, specializzate e non, hanno celebrato il doveroso omaggio a questa sfortunata artista, descrivendone soprattutto le eccelse qualità vocali. Fu indubbiamente una voce unica, sui generis, che ha riempito un vuoto nella gamma dei colori espressivi delle possibilità canore. Una voce che aveva robustezza e volume, intenso colore e pastosità di timbro; poco portata forse agli affiati drammatici o ai vigori struggenti, ma con una grande facilità d’emissione, una propensione al canto meditato e una perfetta scuola.
Mai è stata Amneris o Ulrica o Azucena, e poche volte Carmen (anche se in nuce appariva una Carmen da antologia), però è stata una splendida Cenerentola, una persuasiva Carlotta, una puntuale Isabella, una frizzante Rosina, uno strepitoso Arsace. Grazie a lei, opere come Tancredi, La donna del lago, Viaggio a Reims, Maometto I hanno potuto trovare un’interprete attenta e preziosissima. Fu eccezionale anche nel genere sacro. L’incisione del Magnificat di Vivaldi, ad esempio, la vede accanto alla Berganza: collocamento quanto mai suggestivo; abbinamento che fa risaltare contrasti ed omogeneità fra due delle più eclatanti vocalità del nostro periodo. Nello Stabat Mater di Pergolesi, poi, accanto ad Ileana Cotrubas, il suo timbro suggestivo sembra farsi ancora più penetrante.
Noi che la conoscevamo anche al di fuori delle scene desideriamo ricordarne invece le grandi doti umane, la cordialità, la gioia di vivere, l’amabilità, la semplicità (diremmo quasi l’umiltà), ma soprattutto la sua profonda fede, cresciuta progressivamente in lei, quasi in maniera direttamente proporzionale ai suoi trionfi. Era un raro e limpido esempio di vita cristiana praticata senza rispetto umano in un ambiente spesso ambiguo e vuoto come quello dello spettacolo.
Nell’omelia funebre, celebrata in una Basilica del Santo stracolma (Padova l’amava e la considerava una vera e propria gloria cittadina), il co-celebrante, dopo aver elogiato le qualità umane della cantante e dopo aver affermato che purtroppo non avremo più il privilegio del suo canto e del suo sorriso, volle concludere commosso: “Ora, Lucia, che sei in cielo, quando vedi nostro Signore rattristato per le nostre colpe, canta per Lui con la tua bella voce, cosi ci perdonerà più facilmente”. Siamo certi che Padova non la dimenticherà mai. Una settimana dopo, un altro lutto colpì la lirica padovana. Il 26 giugno moriva una sua stimata maestra , la novantaquattrenne Iris Adami Corradetti (di cui a suo tempo abbiamo scritto la biografia e curato un LP recentemente riversato in CD).
Figlia d’arte, milanese di nascita, ma padovana d’adozione, fu anche insegnante di Katia Ricciarelli e oltre ad essere stata una splendida cantante tra le due guerre (Francesca, Cio-Cio-San, Fedora, Carlotta furono suoi indiscussi cavalli di battaglia), fu una assidua e valida organizzatrice di spettacoli lirici, intesi a sensibilizzare soprattutto i giovani. tant’è che da loro veniva chiamata rispettosamente “la signora della lirica”. Maestra e allieva si sono cosi ritrovate nuovamente nell’al di là.
Mentre, però, per Iris il dolore è in parte mitigato dalla umana constatazione che ormai il suo percorso poteva ritenersi verso la conclusione, data l’età avanzata, per Lucia la ferita è assai lacerante, quasi inguaribile, e trova conforto solo in quella serenità e in quella fiducia nell’Altissimo che caratterizzarono la sua vicenda umana e artistica.