Con Del Monaco, morto il 16 ottobre 1982 a Mestre, all’età di 67 anni, scomparve non solo un grosso personaggio che, nei momenti del suo splendore vocale e artistico, aveva fatto ridestare antichi entusiasmi ormai assopiti negli appassionati della musica lirica, ma anche uno dei rarissimi esponenti della cosiddette “grandi voci”. La sua infatti era una voce che improntava sulla potenza, sul volume, sulla aggressività l’intera visione del personaggio a cui dar corpo; poco proclive pertanto alle dolcezze, alle mezze voci, alle sfumature, ai pianissimi e più portata invece all’acuto spavaldo ed a una visione eroica, quasi drammatica, dei vari ruoli.
Non era facile, pertanto, per un simile strumento vocale e con una tale concezione interpretativa, calarsi nei panni di un Rodolfo, d’un Pinkerton, d’un Alfredo, d’un Faust e sotto certi aspetti anche d’un Duca di Mantova e d’un Mario Cavaradossi, ma quali risultati invece era in grado di offrire quando bisognava dar voce a Sansone, Ernani, Pollione, Johnson, Chenier, Canio, Alvaro e soprattutto Otello. Il binomio Del Monaco-Otello rimarrà a lungo inscindibile, pur con l’incalzare dei paragoni con i vari Merli, Lauri Volpi e Vinay (che lo precedettero) e con i vari Vickers, Domingo, Cossutta, Francesconi e Atlantov di oggi. Il suo è stato l’Otello visto in chiave Del Monaco, vocalmente e scenicamente, per l’intensa prorompente carica drammatica, per la dizione scandita, per la veemenza del fraseggio, per la forte tensione, per i vigorosi suoni sia nell’acuto e sia nella parte bassa della tessitura, ove si giovava della sua vocalità di bari-tenore d’antico stampo, che trovava la giusta collocazione anche nel Pollione belliniano. Con lui si inserisce nella leggenda tutto un periodo “dorato”- quello degli anni ‘50 e ’60 – legato al melodramma del dopo Gigli, del dopo Schipa, del dopo Pertile, del dopo Lauri Volpi, del dopo Toti Dal Monte, e caratterizzato dall’avvento dei vari Di Stefano, Tebaldi, Simionato, Callas, Stella, Corelli, Carteri, Siepi, Taddei, Gobbi e tanti altri, che riproposero con entusiasmo il cantare “all’italiana”, dopo la triste parentesi dell’ultimo conflitto mondiale. La sua notevole presenza, lungo più di un ventennio di carriera, sta a testimoniare la resistenza di una voce che mai si è risparmiata, salda come il granito, capace di squillare sicura, ad onta del duro e snervante repertorio e nonostante – a detta di certuni – un metodo di canto ed una tecnica non proprio sopraffini. A parte simili sottigliezze, il tenore fiorentino è stato prestigioso messaggero dell’Arte italiana nel mondo, degno di restare nella storia del melodramma per quelle pagine meravigliose che riuscì a scrivere e per le quali va ricordato con emozione e nostalgia.
Non era facile, pertanto, per un simile strumento vocale e con una tale concezione interpretativa, calarsi nei panni di un Rodolfo, d’un Pinkerton, d’un Alfredo, d’un Faust e sotto certi aspetti anche d’un Duca di Mantova e d’un Mario Cavaradossi, ma quali risultati invece era in grado di offrire quando bisognava dar voce a Sansone, Ernani, Pollione, Johnson, Chenier, Canio, Alvaro e soprattutto Otello. Il binomio Del Monaco-Otello rimarrà a lungo inscindibile, pur con l’incalzare dei paragoni con i vari Merli, Lauri Volpi e Vinay (che lo precedettero) e con i vari Vickers, Domingo, Cossutta, Francesconi e Atlantov di oggi. Il suo è stato l’Otello visto in chiave Del Monaco, vocalmente e scenicamente, per l’intensa prorompente carica drammatica, per la dizione scandita, per la veemenza del fraseggio, per la forte tensione, per i vigorosi suoni sia nell’acuto e sia nella parte bassa della tessitura, ove si giovava della sua vocalità di bari-tenore d’antico stampo, che trovava la giusta collocazione anche nel Pollione belliniano. Con lui si inserisce nella leggenda tutto un periodo “dorato”- quello degli anni ‘50 e ’60 – legato al melodramma del dopo Gigli, del dopo Schipa, del dopo Pertile, del dopo Lauri Volpi, del dopo Toti Dal Monte, e caratterizzato dall’avvento dei vari Di Stefano, Tebaldi, Simionato, Callas, Stella, Corelli, Carteri, Siepi, Taddei, Gobbi e tanti altri, che riproposero con entusiasmo il cantare “all’italiana”, dopo la triste parentesi dell’ultimo conflitto mondiale. La sua notevole presenza, lungo più di un ventennio di carriera, sta a testimoniare la resistenza di una voce che mai si è risparmiata, salda come il granito, capace di squillare sicura, ad onta del duro e snervante repertorio e nonostante – a detta di certuni – un metodo di canto ed una tecnica non proprio sopraffini. A parte simili sottigliezze, il tenore fiorentino è stato prestigioso messaggero dell’Arte italiana nel mondo, degno di restare nella storia del melodramma per quelle pagine meravigliose che riuscì a scrivere e per le quali va ricordato con emozione e nostalgia.