A volte c’è l’opinione che per realizzare uno spettacolo lirico sia sufficiente il cantante famoso, attorniato da illustri sconosciuti, perché c’è la falsa convinzione che il grande artista funzioni come da catalizzatore sul pubblico, facendolo accorrere numeroso, con relativi vantaggi per la cassetta. Se dal punto di vista dei risparmi sulla spesa questo discorso può anche passare, è certamente da scartare dal punto di vista puramente artistico. E’ tutta la massa orchestrale, corale e solistica che fa e realizza lo spettacolo e che lo rende apprezzabile e godibile. In altre parole, restringendo il discorso alle sole voci, tutti i cantanti, protagonisti e comprimari, devono contribuire con voci aggraziate, tecnicamente a posto, e con atteggiamenti scenici credibili, alla buona riuscita dell’opera, altrimenti l’operazione non riesce o riesce solo a metà, con l’aggravante di dare dello spettacolo una versione poco attraente o addirittura ridicola.
Questo preambolo ci serve per parlare di Florindo Andreolli, un tenore di Bellombra di Adria (1925-1995) che, dopo un inizio da protagonista, ha avuto l’intuito e l’intelligenza di dedicarsi alle parti cosiddette “minori” o di comprimariato, ma, è bene chiarirlo, spesso di pari importanza di quelle primarie ai fini della buona riuscita dello spettacolo. Per comprendere l’oscuro ruolo del comprimario è utile sapere che spesso le parti principali, musicalmente e scenicamente, sono chiaramente delineate, sia dall’autore della musica che dal librettista, per cui non è faticoso “entrarci dentro”. Inoltre l’esempio della realizzazione di esse da parte di grandi cantanti è facilmente a portata di mano.
Le parti secondarie, invece, sono spesso amorfe, non chiaramente definite, talora scivolano persino nella caricatura, per cui la loro realizzazione musicale e scenica è più difficile di quanto si creda. Ci vogliono, per esse, intelligenza, inventiva, gusto, prontezza, altrimenti si può cadere della routine più deteriore, nello stantio, nel pedissequo.
Florindo Andreolli ha avuto la saggezza di portare in queste parti, dal punto di vista scenico, qualcosa di nuovo, di fresco, di credibile, unito ad una voce agile e dal timbro accattivante. E questo è un merito di portata inestimabile che ha fatto salire di molto le sue quotazioni artistiche, tant’è vero che, come i vari Giuseppe Nessi, Ottorino Begali, Virginio Carbonari, Piero De Palma, Angelo Mercuriali e pochi altri, pur non essendo mai stato Radames o Don José, Manrico o Calaf, resterà nella storia del teatro d’opera per questi meriti di rivalutazione e di rivisitazione intelligente dei cosiddetti “ruoli minori” quasi sempre non giustamente considerati.