Con una bella e particolare edizione del Rigoletto, è terminata la stagione lirica di Padova.
Dopo il successo della Carmen nell’ottobre scorso, il 23, 27 e 29 dicembre, al teatro Verdi è andato in scena il capolavoro verdiano che grazie a un degno cast vocale, un’attenta direzione orchestrale e un originale allestimento, ha saputo, ancora una volta, stupire e accattivare il numeroso pubblico intervenuto in questo scorcio di fine 2010.
Il Rigoletto pone fine alla trilogia popolare verdiana realizzata dalla Collaborazione tra i Comuni di Padova e Rovigo dopo La Traviata del 2008 e de Il Trovatore del 2009 e questa edizione, grazie al suo intrinseco allestimento, conferma ancora una volta che nell’opera si può osare, si possono in parte abbandonare i classicismi, si può offrire un prodotto diverso, purché nel contempo queste novità siano capaci di mantenere coerenze logiche e non sopraffare i protagonisti canto e musica.
Come è avvenuto per l’originale, apprezzatissima Aida di Hugo de Hana, così, a mio avviso, la regia, le scene, i costumi, le coreografie e le luci di Stefano Poda in questo Rigoletto hanno stupito e meravigliato lo spettatore più attento. Anche quest’anno il Teatro Verdi ha osato e con successo.
L’apprezzato, bravissimo, visionario regista trentino ha desiderato “purificare lo sguardo dello spettatore offrendogli la forza motivazionale ed anche la spinta creativa su cui egli stesso possa lavorare con libertà, riscattandosi dal condizionamento di un’interpretazione imposta”. Su di un palcoscenico concentrico suddiviso in quattro parti, in un’alternanza rappresentativa dalle connotazioni forti, il nero e il bianco, la corruzione e la purezza, il disprezzo del vincente e la sofferenza del vinto hanno dato vita a un’originale realizzazione scenica comprendente posizioni statiche e movimenti lenti delle masse corali e arricchita da luci ed effetti da film.
di Paolo Lerro
Di contro bisogna ammettere che l’angusto spazio a disposizione ha sacrificato alcuni movimenti dei cantanti che comunque hanno saputo riscattarsi con una complessiva e convincente performance canora.
Come ogni esordio, anche al Verdi la prima serata ha assunto un sapore particolare in quanto ha visto il debutto assoluto del tenore Giordano Lucà e l’inaspettata sostituzione della protagonista femminile che è coincisa con il ritorno di Gladys Rossi, ormai cara beniamina del pubblico patavino.
Per non parlare dell’ottimo Franco Vassallo che ritengo vocalmente tra i migliori baritoni sulla piazza mondiale.
Il Duca di Mantova, dopo un Questa o Quella dal tono sommesso, dovuto a evidentissima emozione si è saputo riscattare nel corso della serata. Allievo di famosi artisti del calibro della Caballé e Pavarotti il giovanissimo Lucà è dotato di un bel timbro di tenore lirico-leggero e ha dimostrato di possedere una più che buona facilità di emissione sul registro acuto. Ha pagato lo scotto dell’inesperienza dovuta alla giovane età ma certamente sentiremo parlare di lui.
L’australiana Jessica Pratt doveva essere Gilda, ma un’indisposizione dell’ultimo momento ha costretto il Direttore Artistico a chiamare la Rossi che dopo i trionfi di Violetta e della Glavary al Verdi, pur avvertita in tardo pomeriggio, non ha rinunciato all’occasione e coraggiosamente è salita sul palcoscenico senza alcuna prova di regia. Da brava professionista ha saputo calarsi nel difficile ruolo della protagonista con sicura e attenta determinazione, cantando in maniera corretta, sorretta da un’efficace interpretazione.
Il Rigoletto di Franco Vassallo non ha deluso le aspettative. Padrone della parte e in possesso di un brunito, gradevole timbro baritonale e di un’ineccepibile tecnica vocale dove ogni nota è perfettamente emessa e raccolta con il fiato giusto e la posizione corretta, ha affrontato il “sacro” ruolo di Rigoletto con evidente sicurezza vocale e interpretativa.
Bravi anche il basso Maurizio Muraro (Sparafucile) e il mezzo-soprano Kendall Glanden (Maddalena), “timbratissimi” fratelli nel dramma dall’ottima presenza scenica. Menzione positiva per gli interpreti minori, i figuranti e il coro sempre pronto e opportuno.
Alla guida dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta uno dei direttori italiani di maggior talento, il Maestro Pietro Rizzo, giovane ma esperto direttore e attento concertatore già affermato specialmente a livello europeo, che, a parte qualche tempo eccessivamente lento, ha nel complesso offerto un’ottima prova.