Parliamone
Molti di noi conoscono “la Traviata” o la “Tosca” nota per nota battuta per battuta, ma niente, o quasi, su una problematica di importanza vitale per le Associazioni, compresa la nostra, e che riguarda il regolamento dei contributi comunali. Questi ultimi rappresentano il confine fra la vita di una Associazione che opera per la cittadinanza o il suo naufragio in un mare di debiti. Ci sembra quindi corretto informare i soci sui meccanismi di questa erogazione.
Anche chi vede la politica come farina del diavolo e non vuole entrarci minimamente, avrà sentito parlare di “autonomia locale” e noi citiamo l’argomento molto attuale, solo per dire che non è un tema nato in questi ultimi tempi, ma da sempre presente nel calendario politico anche perché previsto nella nostra Costituzione.
Un momento importante di questo lungo tragitto, anche se da pochi avvertito, è stato quello in cui i Comuni si sono dotati di un regolamento autonomo relativo alla loro organizzazione e, salvo per alcuni punti comuni, diverso da Comune a Comune secondo le proprie esigenze storico- ambientali. All’interno di questo regolamento sono presenti anche le norme da seguire per, concedere prima e liquidare dopo, i contributi alle Associazioni Culturali, ed è questo l’argomento su cui vogliamo esprimere delle considerazioni. Chi scrive ne parla con una certa consapevolezza avendo, a suo tempo, partecipato al dibattito che l’Amministrazione aveva democraticamente aperto su un argomento così importante. Purtroppo come spesso accade in questo nostro paese, così bello per molti aspetti ma pasticcione per altri, con il “parla tu che discuto io”, magari con l’occhio rivolto più ai propri interessi che a quelli comuni, la maggioranza dei Comuni si è trovata a redigere il regolamento all’ultimo momento per rimanere nei tempi messi a disposizione, e, sull’argomento che ci interessa, decise di adottare, nel suo impianto generale, quello, già in vigore, sui finanziamenti regionali, pur essendo le due situazioni ben diverse. A dire il vero alcuni ritocchi successivi ci sono stati, ma…
Diciamo subito che le proposte di iniziative avanzate dalle Associazioni, vanno subito distinte quelle dirette a sostenere la Associazione stesse da quelle di interesse pubblico e fatte proprie dall’Amministrazione nell’ambito della diffusione della cultura e, anche se il mantenimento in vita dell’Associazionismo è gia di per se un’azione di utilità pubblica, esso deve essere chiaramente fatto senza mascheramenti. Altro punto da affermare senza equivoci, prima di procedere nel ragionamento, è quello relativo all’espressione “no profit” con la quale le Associazioni si definiscono. I soggetti con questo marchio si distinguono da altri per il fatto essenziale che gli eventuali avanzi di gestione (comunemente detti utili) non vengono distribuiti tra i soci ma rimangono come patrimonio dell’Associazione stessa. Perciò i residui attivi, e il loro accumulo, non sono in contrasto con il carattere di “no profit” dell’Associazione come qualcuno crede. Ultimo appunto; le forme di sostegno (leggi contribuzioni) sono ben descritte nello statuto e tra le più importanti, anche se mai quantificate, vi sono quelle derivate dalla gratuità delle prestazioni prodotte dai soci a favore dell’Associazione. Sia ben chiaro, però, che tale gratuità è dovuta verso l’Associazione e non verso terzi, i quali, corrispondendo in denaro al lavoro fatto, trasformano le prestazioni in un sostegno finanziario. Ma torniamo al nostro Regolamento; esso prevede che un progetto, per cui si richiede un sostegno economico, il contributo, non debba superare l’80% della spesa ricavata dal bilancio di previsione e che una volta realizzato la liquidazione non superi l’80% del bilancio consuntivo corredato dalle pezze giustificative dei vari importi senza riconoscere come uscite il lavoro svolto dai Soci dell’Associazione organizzatrice. Si può discutere da dove salti fuori questo 80% e chi l’abbia stabilito, oppure se sia giusto che il rischio di impresa ricada completamente sull’Associazione, non è però su questo che vogliamo richiamare l’attenzione ma sul valore non riconosciuto del lavoro prestato dai soci impegnati nella realizzazione. In pratica noi ravvisiamo una grossa sperequazione per cui se la realizzazione è assegnata a una Agenzia di spettacolo, o altro, il lavoro viene (e spesso molto bene) corrisposto ma se a realizzare lo stesso progetto è un’Associazione oltre che risparmiare perché sulle spese non vi è nessun rincaro, si nega la valorizzazione del lavoro svolto.
Non ci sembra giusto!
E qui potremmo anche fermarci ma l’argomento non sarebbe completato se non si individuassero i colpevoli di tale situazione e non si indicasse la strada da percorrere per modificarla.
Incominciamo dal personale amministrativo al quale non può essere imputata nessuna colpa, il suo lavoro è l’applicazione delle regole senza differenziazioni e non abbiamo mai mancato di riconoscere che a Padova, almeno nel settore della cultura, tale compito è svolto con competenza e impegno. Passiamo ai politici; se è pur vero che spetta loro il compito di redigere i regolamenti dobbiamo riconoscere che se tali decisioni reggono alla loro applicazione senza sollevare un grande dissenso le modifiche non sono necessarie e a dimostrazione di ciò abbiamo già detto che il regolamento ha avuto degli aggiornamenti migliorativi su solleciti ben argomentati. Allora i colpevoli dove sono? Non siamo certamente fieri di riconoscerlo, ma in questo caso i veri colpevoli sono le Associazioni stesse. Quando ho partecipato al dibattito preparatorio, come sopra ricordato, ho sollevato questi problemi ma era come parlare a dei sordi. Perché anche in quella occasione prevaleva la mentalità italiana convinta di essere tanto furba da saper aggirare qualsiasi legge per adattarla a proprio beneficio. Per ultimo quindi la soluzione non rimane che unire più Associazioni, convinte dalle argomentazioni esposte e promuovere un’azione comune.