Ho osservato il pubblico che defluiva dal teatro al termine della prima di Aida la sera del 28 ottobre scorso, pioveva e la ricerca dell’ombrello fra tanti non era facile, eppure tutti avevano l’aria di chi è soddisfatto per una bellissima serata trascorsa. Perché, viene da chiederci, siamo felici per ciò che è normale che sia?
di Mariangela Giulini
Eppure non è così, nonostante siano ormai tre anni che godiamo di spettacoli veramente belli non ci siamo ancora disabituati a uscire da teatro delusi o meglio amareggiati per la consapevolezza che i soldi del contribuente sono stati spesi male. Quindi grazie all’Amministrazione, grazie al direttore artistico Federico Faggion, grazie a chi ha avuto fiducia nelle possibilità interne a Padova di produrre bene e riportare il nostro teatro ai suoi fasti antichi.
Detto questo, che era doveroso anteporre a ogni altra considerazione, parliamo dell’Aida che pos-siamo anche definire “l’Aida di Hugo De Ana”, infatti se l’ organizzare sul palcoscenico esiguo del nostro teatro un’opera scritta e voluta per grandi spazi è stata certamente una sfida per il regista scenografo, per lo spettatore si è manifestata quasi come una magia che lo ha trasportato in un’altra dimensione, o per lo meno in un altro luogo dove lo spazio non era più importante, ma invece lo era l’insieme di simbolismi e di coups de théatre che gli hanno fatto cogliere tutta la summa dell’Aida stessa.
Specchi per ampliare; manto rosso a coprire quasi tutto il palco per sottolineare il potere (almeno così l’ho inteso io); proiezioni e trasparenze per ottenere la profondità e sottolineare la ieraticità; uso del sot-topalco per sfruttare gli spazi, ma anche per creare maggiore spettacolarità; balletto non tradizionale, ma assolutamente congruo con il libretto; uso delle luci per delineare al meglio gli stati d’animo dei personaggi; finale inconsueto per il posizionamento di Amneris, ma incredibilmente sce-nografico e coinvolgente.