Aprire l’anno 2009 da parte di una Associazione Lirica, come la nostra, ponendoci un quesito musicale mi sembra appropriato e qualificante per ribadire che lo scopo per cui esistiamo, come sodalizio, è quello di avere sempre un’attenzione particolare per ciò che può favorire o meno la diffusione dell’arte lirica.
di Ginfranco Danieletto
Lo spunto lo ricaviamo dalla risposta che il nostro giovane Direttore Artistico Federico Faggion ha dato, in occasione della presentazione de “La Traviata” al Teatro Verdi, alla richiesta di esprimere un’opinione su un quesito attuale che riguarda la sensazione, diffusa tra i melomani, che le nuove generazioni di cantanti siano ben preparate dal punto di vista vocale, ma lascino a desiderare per quanto riguarda l’interpretazione e se questo sia la conseguenza, o meno, di una scuola non all’altezza o di limitazioni imposte da Direttori d’Orchestra o Registi se non addirittura da Giurie di Concorsi.
Infatti queste categorie dimostrano sempre più di essere intransigenti di fronte a qualsiasi trasgressione relativa alla forma musicale e quindi contrari all’uso di quelle sfumature che solo con la voce si possono produrre per arricchire la scrittura degli spartiti con aspetti emozionali così frequenti e amati nel passato.
Non a caso rammentiamo che, e le cronache del tempo lo riportano, in occasione della preparazione di Otello, Giuseppe Verdi (non certo ultimo nella severità sulla forma) istruendo gli artisti ebbe a dire: Ora la parte la sapete, adesso interpretatela.
Del resto il quesito è del tutto pertinente visto che nei nostri incontri frequenti con giovani cantanti, essi sull’argomento ci dicono che se si lasciassero andare a seguire l’istinto di interpretare verrebbero inesorabilmente “rifiutati” proprio da quelli a cui chiedono l’opportunità di un lavoro.
Purtroppo la questione è stata stroncata con la risposta che il problema non esiste in quanto è “solo” cambiato il modo di interpretare e che l’attaccamento agli artisti del passato e al loro modo di farci vivere i vari personaggi è solo un retaggio nostalgico. L’argomento mi riporta, l’ ho già detto in altra occasione, a una serata organizzata dall’indimenticata Iris Adami Corradetti intitolata “Rileggiamo Puccini” in cui il celebre soprano deprecava il manierismo di cattivo gusto a cui il verismo smodato ci aveva portato, auspicando un ritorno alla giusta misura e al bel canto anche nell’interpretare gli autori veristi.
A quel punto dal pubblico la giovane e sensibile Marina D’Ambroso, già allora apprezzata accompagnatrice, pianista e ripassatrice di spartiti chiedeva: Ma dove possiamo trovare indicazioni per formare le nuove leve del canto in senso interpretativo, se non esiste, o quasi, nessuna letteratura specifica?.
Domanda rimasta già allora senza risposta perché corrisponde, anche ai giorni nostri, a semplice verità. Di fatto tale tipo di insegnamento veniva impartito dai cantanti celebri del passato (diventati insegnanti e non sempre con esiti positivi) in modo esclusivo, come retaggio personale e quasi un segreto da non divulgare.
Per diletto e interesse personale, ho letto vari libri sull’argomento: dal famoso “Voci parallele” di Lauri Volpi alle biografie dei grandi cantanti sino al breve trattato di Aureliano Pertile, ma tutti si dilungavano sulla tecnica vocale e nulla si diceva sull’interpretazione, fatta salva una serie di lezioni tenute dalla Callas alla Julliard School of Musica, raccolte da John Ardoin ed edite da Longanesi nel 1988. Forse nei tempi in cui era l’Artista a imporre la sua personalità non si poteva neanche immaginare che un giorno Direttori, e addirittura Registi, potessero sostituirsi all’estro dell’interprete con il risultato di lasciare, salvo rare occasioni, il pubblico per nulla emozionato se pur, il più delle volte, ammirato dalle qualità vocali, quelle sì, ben educate.
Concludiamo auspicando che la critica ufficiale prenda posizione non “sparando” sul cantante, più vittima che colpevole, ma chiedendo a gran voce che le esibizioni siano curate nei due aspetti, tra loro complementari, indispensabili per produrre un evento artisticamente valido.
Oltre tutto ricordiamo che molte nazioni, soprattutto asiatiche, ci inviano i loro artisti con borse di studio per migliorare nella tecnica e nella interpretazione confidando che l’Italia, patria del bel canto, sia il posto più adatto; grave sarebbe deludere tali aspettative.