La Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano è certamente in assoluto tra le opere più rappresentate e, dalle nostre ricerche risulta che anche il nostro teatro cittadino l’ha messa in scena ben 20 volte, ivi compresa quest’ultima edizione. Forse a qualcuno potranno interessare alcune annotazioni in merito; la prima edizione avviene il 16 giugno del 1838 ossia a tre anni dalla prima rappresentazione assoluta e, tralasciando le recite troppo lontane, arriviamo al 1926, anno in cui Lucia era Mercedes Capsir, nel ‘32 Toti Dal Monte con il marito De Muro (Edgardo), nel ’38 ancora La Capsir con accanto Mario Filippeschi, nel ’39 è la volta di Lina Pagliughi, nel ’45 (in piena guerra) Edgardo era Mario Del Monaco, nel ‘46 ritorna la Pagliughi, nel ’68 Lucia era Rosetta Pizzo, nel ’79 Luciana Serra e Lord Enrico Leo Nucci, mentre nel ’99, dopo una lunga pausa di inattività del teatro, Elisabetta Maschio dirige i giovani Gorgio Cascarri (Edgardo) e Sergio Bologna (Enrico). Nel 2004, con La Fenice di Venezia, viene messa in scena l’edizione in cui Edgardo era Francesco Meli (agli esordi) e, Raimondo era il nostro Riccardo Zanellato, per la prima volta, in Lucia, nella sua terra padovana.
Veniamo a quest’ultima edizione che grazie alla compagnia di canto, alla direzione del M° Francesco Rosa e alla regia di Stefano Poda ha raccolto molteplici consensi da parte del pubblico.
Incominciamo dai personaggi minori ma estremamente importanti per il livello artistico dell’insieme: Alisa era il soprano Silvana Benetti, purtroppo l’ingrato ruolo non permette all’artista di esprimersi, perciò rimando il giudizio a un’occasione più propizia, Normanno era il tenore Orfeo Zanetti che alterna ruoli da protagonista con altri da comprimario, sempre con una voce perfettamente consona al personaggio del momento, con una interpretazione incisiva e sapiente, Lord Arturo era Thomas Vacchi che nel difficile e purtroppo breve ruolo dello sposo ha dato prova, anche lui, che le sue potenzialità vanno ben oltre al compito di comprimario. Raimondo era Riccardo Zanellato, gamma completa, morbidezza del suono e incisività interpretativa fanno di lui uno dei bassi più dotati del momento. Lord Enrico era l’ucraino Vitaly Bilyy. Voce senza debolezze, completa, rotonda e incisiva che non manca di sottigliezze interpretative, come nell’attacco del duetto “Appressati, Lucia”, quasi a mezza voce, cosciente del sacrificio che chiederà con l’inganno alla sorella e quindi, in qualche modo, impietosito. Edgardo, personaggio vocalmente lirico, era Ismael Jordi giovane spagnolo perfettamente aderente ai ruoli di tenore leggero e con una vocalità di rara bellezza che si appresta a proseguire il suo tragitto artistico affrontando ruoli più tragici. Purtroppo in questo caso il personaggio ha molti passaggi che richiedono accenti più “aspri” come nel primo duetto all’ “Intendi! Di mia stirpe…. “ con quel che segue, oppure nel concertato “Chi mi frena in tal momento” dove inesorabilmente perde un po’ di mordente. Più adatto alle sue prerogative è il finale, in cui aleggia la malinconia, e dà la possibilità alla voce di spaziare senza forzature mettendo in risalto le qualità suadenti del giovane tenore, lasciando, quindi, nel pubblico un’ impressione positiva.
La protagonista, Burcu Uyar, proveniente dalla Turchia; voce vellutata dotata di grande estensione che nei sopra acuti anziché perdere consistenza sale di volume emergendo su tutte le altre voci. Queste qualità le danno da subito la possibilità di conquistarsi le simpatie e il consenso del pubblico, come di fatto è avvenuto. Rimane la convinzione che quella a cui abbiamo assistito sia stata un’edizione di livello artistico molte elevato.
Da sottolineare il ruolo del coro come sempre ben preparato e diretto dal M° Dino Zambello e quello del direttore Francesco Rosa che ha saputo condurre l’orchestra e i protagonisti con la maestria e la misura (mai l’orchestra si è sovrapposta ai cantanti ricercando un ruolo protagonistico) che ben conosciamo.
La regia affidata a Stefano Poda ha poi offerto allo spettatore una visione tutta personale sulla vicenda puntando l’attenzione non tanto all’epoca o ai particolari delle scenografie tradizionali, ma spostando la visuale all’interno dei personaggi e dei loro sentimenti più intimi. L’acqua e la luce sono i veri protagonisti delle scene in cui i personaggi si muovono, nei momenti più drammatici, in una specie di sopramondo surreale da cui emerge solo il dramma e la sua tragica evoluzione. Il colore scuro, i barbaglii della luce determinati dall’acqua, il rosso del sangue che via via insudicia Lucia, come prima Arturo, sono di grande effetto emotivo e shockano lo spettatore senza mai distrarlo dall’ascolto, anzi immergendolo nel dramma a fianco dei personaggi. Il risultato non è da poco!